L’inaugurazione del panificio di Koupela, le visite a quelli di Loumbila e Fada N’Gourma, i colori, gli odori, un clima a cui non si è abituati, l’incontro con ritmi e modi di vivere lontano anni luce dal quotidiano: nelle testimonianze dei membri della delegazione della Fondazione Il Cuore si scioglie e di Unicoop Firenze che si sono recati in Burkina Faso per avviare i lavori del nuovo forno, il viaggio nel continente africano – per molti il primo – è stata un’esperienza bella e dura allo stesso tempo, molto toccante e capace di segnare nel profondo.

Francesco Guasti, Stefania Panella e Lia Vasarri
Dalle terribili cave di granito di Pissy e l’adiacente scuola materna gestita dal Movimento Shalom, alla Casa famiglia per bambini di strada, all’orfanotrofio e alle altre strutture gestite sempre da Shalom, agli incontri con le autorità civili e religiose locali, tutti sottolineano il forte impatto con una povertà che si tocca davvero con mano, difficile da immaginare finché non ci si trova davanti agli occhi. Eppure, allo stesso tempo, quello che più di tutto resta impresso e si riporta indietro come arricchimento è la capacità di “dare” di un popolo, in grado di trasmettere dignità, rispetto e gioia di vivere, a partire dai sorrisi dei suoi bambini.
“Andare in Burkina per l’inaugurazione di questo terzo panificio è per noi motivo di grande orgoglio – afferma Stefania Panella, consigliere della Fondazione Il Cuore si scioglie onlus -. Durante la nostra permanenza abbiamo avuto occasione di visitare anche gli altri due panifici aperti negli anni passati a Loumbila e Fada N’Gourma, ed è bello constatare da vicino che non sono ‘cattedrali nel deserto’ o un tampone per un’emergenza, ma progetti di sviluppo reale, che hanno messo radici e continuano nel tempo in maniera stabile. Mettendo a disposizione il nostro contributo, in termini economici e di competenza professionale, diamo a queste persone la possibilità di trovare una loro strada imprenditoriale per sostenersi. Penso ad esempio al forno-pizzeria di Loumbila, che è diventato un panificio grande, pulito, curato, con la vicina coltivazione dell’alga spirulina, con tante persone che ci lavorano e che vanno a comprare il pane”.
L’incontro da vicino con la popolazione africana “mi ha toccato tanto, a tratti è stata un’esperienza ‘devastante’ – afferma Lia Vasarri, consigliere di sorveglianza di Unicoop Firenze -. Si entra a contatto con una povertà tangibile, ma allo stesso tempo le persone ci trasmettono un esempio di grandissima dignità e serenità. La visita alla cava di Pissy è stata come entrare nell’inferno. Donne e bambini tutto il giorno a spaccare pietre e farne graniglia, per racimolare un pezzo di pane. Ecco, in una realtà come quella del Burkina, i forni per il pane di Unicoop Firenze hanno creato un’opportunità concreta di lavoro e permettono di produrre un elemento basilare per l’alimentazione”.
Andare in Burkina “mi ha lasciato un segno indelebile, come l’inizio di un tatuaggio – spiega Francesco Guasti, direttore del negozio di Gavinana e consigliere della Fondazione Il Cuore si scioglie onlus -. È come un disegno da portare a compimento, attraverso le azioni, nel quotidiano. Questo viaggio mi ha lasciato un ‘peso’: e io questo peso me lo sono caricato sulle spalle e voglio portarlo. Bisogna riuscire a non sprecare una briciola del nostro pane e della nostra acqua, questo è un insegnamento da trasmettere ai nostri figli”. Il viaggio della delegazione della Fondazione Il Cuore si scioglie e di Unicoop Firenze ha fatto tappa anche in luoghi terribili, come le cave di Pissy: “Un posto orribile, come l’Inferno di Dante: 1200 tra donne, bambini e uomini a spaccare sassi da mattina a sera per prendere circa cinquanta centesimi di euro al giorno, un luogo davvero senza commento”.

Da sinistra a destra Francesco Guasti, Enrica Romani, Sara Cerboneschi, Valentino Sabatino, Gabriella Bocci e Davide Santoriello.
“Questa è la terza volta che vado in Burkina Faso – racconta Enrica Romani, dipendente Unicoop Firenze del negozio di Pistoia -. È un’esperienza che io sento molto: ogni volta che vado ci lascio un pezzo di cuore, per me è come una seconda casa, è come tornare a casa. È un viaggio che arricchisce moltissimo, e devo dire che l’emozione è sempre la stessa della prima volta. Noi insegniamo loro a fare il pane, loro ci insegnano la vita: a sorridere nonostante tutto, a stare bene con poco, a condividere. Enrica si sofferma poi sul rapporto con i due giovani burkinabè Hasmadou e Ferdinand che si occuperanno del panificio di Koupela: “Il percorso di formazione che i ragazzi hanno fatto a San Patrignano è stato molto accurato, sapevano già fare l’impasto del pane e molte altre cose e sono stati bravissimi. Ci mettono molto impegno e passione”.
“Abbiamo dato loro le gambe e le braccia per camminare da soli – le fa eco Gabriella Bocci del Coop.fi di Ponte a Greve -. Il gruppo di cui io facevo parte, il secondo, ha curato in particolare l’avvio dell’attività di vendita nei giorni successivi all’apertura del panificio”. Un viaggio come quello a Koupela “non è una ‘passeggiata’ – aggiunge Gabriella ripensando ai giorni trascorsi in Burkina – perché ha un impatto molto forte: la povertà si tocca davvero con mano, ma allo stesso tempo le persone ti trasmettono un senso di grande umanità“.

I dipendenti di Unicoop Firenze insieme ai due ragazzi burkinabè che lavorano nel panificio di Koupela
L’esperienza in Africa è stata anche dell’occasione per conoscere davvero e da vicino l’aspetto sociale e di volontariato della cooperativa e le attività della Fondazione, mettendosi in gioco in prima persona, come racconta Sara Cerboneschi, dipendente del Coop.fi di Ponte a Greve: “Le due settimane in Burkina sono state un insieme di emozioni anche contrastanti tra di loro: da una parte la felicità di fare parte di un progetto così bello, dall’altra il dolore nel ritrovarsi in un contesto opposto alla società occidentale in cui ho avuto la fortuna di nascere, e che in tantissimi momenti mi ha portato a ripetermi ‘non è possibile'”. Insomma, essere proiettata “in una realtà anni luce da quella in cui vivo, una realtà in cui ogni logica veniva ribaltata, in cui nulla si poteva dare per scontato“, aggiunge Sara, ripercorrendo le difficoltà affrontate nell’allestimento del forno, nel trovare le materie prime o anche solo le teglie per fare la pizza. E infine l’esigenza di non disperdere il bagaglio di emozioni e insegnamenti che si riportano indietro, trasmettendoli a chi è rimasto a casa, ad esempio “investire nella crescita e nella formazione di giovani e adulti senza nulla in cambio, senza un tornaconto ma solo ed esclusivamente per il loro bene; impegnarsi a creare un presente, ma soprattutto un futuro, per quelle persone che non hanno un presente e un futuro come il nostro“.
Il panificio “deve rappresentare una speranza per le persone del Burkina – afferma Davide Santoriello, del negozio di Firenze-Le Piagge – per i ragazzi che ci lavoreranno, e che avevano molta voglia di imparare, per il villaggio di Koupela che è accorso all’inaugurazione, per tutti coloro che sono venuti a comprare il pane nei giorni successivi all’apertura del forno. Questa esperienza mi ha dato modo di conoscere il modo di vivere delle persone di questo Paese, che nonostante la situazione di estrema povertà hanno il sorriso sulle labbra“.
“Ero partito con lo spirito di ‘dare’ – conclude Valentino Sabatino, al Coop.fi di Sesto Fiorentino, anche lui per la prima volta in Africa – non mi aspettavo di ‘ricevere’ così tanto: a partire dalle cose semplici, i sorrisi, il modo sentito, rispettoso e grato di salutare. È un’esperienza ‘tosta’, si torna con un bagaglio pieno ed è difficile riabituarsi alla quotidianità”. Loro “non hanno niente ma al tempo stesso hanno tutto – sintetizza Valentino -, hanno l’ottimismo, la gioia di vivere, mentre noi che abbiamo tutto, di quel tutto spesso ci lamentiamo”. È questo un viaggio anche interiore “che ti fa fare tante domande – spiega Valentino – e ci insegna a aprirci agli altri e non restare chiusi a coltivare il nostro orticello, perché la più grande ricchezza sta nell’incontro con l’altro. Infine, Valentino pone l’accento anche su un altro aspetto dell’essere ‘solidali’ e cioè sull’importanza di aver condiviso con i colleghi di lavoro un’esperienza di così grande arricchimento personale: “Chi di noi era lì lo ha fatto davvero con il cuore. Si è creato un grande clima di affiatamento, di attaccamento e collaborazione tra colleghi, nel momento in cui c’era bisogno di essere uniti”.